martedì 17 febbraio 2015

Intervista a due partigiani del comandante Felice Cascione, l'autore di "Fischia il vento"

29 novembre 2012
Quella che segue è un intervista a Tonino Simonti e Silvano Alterisio, due partigiani che hanno combattuto accanto a Felice Cascione, autore della celebre canzone "Fischia il vento" e loro comandante partigiano. Autori dell'intervista sono Christian Flammia e Andrea Ghirardo impegnati per il recupero del "Casone" dove le canzone venne composta.
"Il tuo nome è leggenda, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s'arruolarono sotto la tua bandiera...": così Italo Calvino ricordava nei suoi scritti la figura di Felice Cascione. In un periodo di profondo decadimento di valori morali ed etici quale quello odierno, l'esempio di Felice Cascione, detto "u megu" (il medico), medaglia d'oro al valor militare alla memoria che sacrificò la sua vita per la libertà della Patria, non va dimenticato.
Nato a Imperia nel 1918, antifascista attivo dal 1940 (fu anche incarcerato per aver partecipato a manifestazioni antifasciste), Cascione si laureò in medicina nel 1943. A partire dall'8 settembre iniziò il suo cammino di partigiano fondando a Magaletto la Prima Brigata partigiana dell'imperiese, che guidò sui monti della Liguria fino al 27 gennaio del 1944, quando trovò la morte ad Alto durante uno scontro con i nazifascisti.
A indirizzarli c'era proprio quel Michele Dogliotti che Cascione aveva fatto prigioniero due mesi prima e che si era rifiutato di fucilare: "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo e ora voi volete che io permetta di uccidere?"
Le gesta di Cascione e le circostanze della morte, quando si fece uccidere nel tentativo di salvare un suo compagno, rappresenta una straordinaria pagina di storia, una pagina eroica della storia d'Italia, da tramandare ai posteri.
Nel ricordarlo, convinti che con la storia del passato si possa costruire il nostro futuro, il sogno che abbiamo è quello di recuperare il casone, oggi in stato di abbandono, dove fu scritta la canzone "Fischia il vento", divenuta inno della Resistenza.
Per far questo abbiamo chiesto aiuto a due suoi compagni ancora in vita, affinchè la loro testimonianza metta in luce la personalità del comandante partigiano Felice Cascione.
Tonino Simonti (nome di battaglia Fedor e che faceva parte del distaccamento "Felice Cascione", ci racconta di quei giorni.
"Sono passati tanti anni, a me Cascione è rimasto nel cuore, era un uomo come si deve, con grande dignità. A casa ho molte foto di Felice. Lui era dottore a Porto Maurizio ma non lo conoscevo di persona. Con lui sono stato tre, quattro mesi. Sono salito in montagna sopra Pontedassio il 28 settembre del 1943 e la banda era composta solo da una decina di partigiani. Un uomo così, con il suo altruismo non l'ho mai incontrato. Era avanti cinquanta anni con la testa. La cosa che più mi ha colpito era il trattamento che Cascione riservò ai due prigionieri. Dopo averli salvati da morte sicura, li trattava come se fossero stati partigiani, ci raccomandava sempre che i prigionieri andavano trattati da prigionieri e ci diceva che lui aveva studiato una vita per salvare vite umane e non si poteva permettere di uccidere una persona. Pensate che quando da Oneglia arrivavano le sigarette, ne dava sempre due a testa compreso loro due, divideva con loro il pranzo e le coperte. Non capisco ancora oggi perché abbiano voluto scappare, erano già due mesi che stavano con noi. Vi voglio raccontare due episodi significativi. Una volta una donna della valle ci disse che suo figlio di 5 anni era caduto e si era fatto male ad un piede. Felice prese dal suo zaino i 'ferri del mestiere', scese al paese e curò il bambino. La donna disse a 'u megu' cosa potesse dargli in cambio e lui rispose di portare da mangiare ai suoi uomini che stavano morendo di fame. La donna arrivò con un cesto di castagne e un sacco di altra roba, questo per farvi capire la sua onestà. Un altro episodio: un giorno Cascione ordinò a me a Cigrè di pulire delle patate, ma presi dalla fame, due ce le siamo mangiate prima di portarle a tavola. Felice lo scoprì e ordinò di legarci al palo della chiesa. In un secondo momento, decise di salvarci dalla punizione perché era il giorno di un santo particolare. Ma avevamo tanto rispetto per lui che ci siamo presi una punizione da soli e decidemmo di saltare il pranzo a mezzogiorno, ma 'u megu' dopo una bella ramanzina decise di farci mangiare".
Improvvisamente Tonino cambia registro e ci racconta di Cascione giocatore di pallanuoto. "Era da nazionale e quando tirava i palloni in porta usciva dall'acqua con il ginocchio, era uno spettacolo. Ci teneva molto alla nostra condizione fisica e in montagna ci faceva fare sempre esercizi fisici per rimanere in forma".
Chiediamo a Tonino di raccontarci la giornata fatale.
"Mi ricordo bene quel tragico 27 gennaio, io ero di guardia insieme a Cigrè, erano circa le 6,30 del mattino e faceva un gran freddo. Eravamo in allerta per possibili attacchi tedeschi perché due giorni prima era scappato uno dei prigionieri fascisti catturati nella battaglia di Montegrazie. Il Battaglione tedesco ci attaccò con mezzi pesanti dal basso, nello scontro a fuoco Cascione fu ferito ad una gamba, rifiutò ogni tipo di soccorso per non mettere a repentaglio le nostre vite e per non pregiudicare la nostra ritirata. Ci ordinò di seguire Vittorio Acquarone (suo cugino) e di scappare verso Alto per mettere in salvo la banda. Ci siamo diretti per la mulattiera che portava verso Ormea e quando abbiamo saputo che Cascione era stato ucciso, ci siamo messi a piangere come dei bambini".
Ora parliamo con Silvano Alterisio, "il migliore" come amavano definirlo i suoi compagni, autore con Felice Cascione e Giacomo Sibilla, nome di battaglia 'Ivan', dei versi della canzone 'Fischia il vento' che divenne l'inno ufficiale di tutte le Brigate Garibaldi del Nord Italia.
Gli spieghiamo che l'iniziativa che stiamo portando avanti ha come obiettivo quello di cercare di recuperare i valori della Resistenza che hanno portato a liberare l'Italia e vogliamo far conoscere ai giovani la loro voce.
"Non era così semplice la vita partigiana, perché abbiamo incontrato molti ostacoli e problemi, anche per colpa nostra forse. Siamo stati troppo leggeri e incapaci di gestire il movimento. Abbiamo portato avanti i valori della Resistenza ma non come avremmo dovuto fare. Molti compagni dopo la guerra sono cambiati, all'inizio era una cosa sincera, in seguito sono nate diverse incongruenze. Ultimamente con gioia vedo un recupero di questi valori. Il mio ricordo di Felice Cascione? E' stato effettivamente unico, come lui ce ne erano pochi, era sempre a contatto con i partigiani e pronto ad aiutare gli amici e tutti gli abitanti della zona, era coraggioso e semplice e talmente tanto intelligente che a volte non riuscivamo a comprenderlo".
Ed a proposito di 'Fischia il vento': "Felice oltre ad essere un ottimo comandante era un raffinato poeta, sebbene un po' stonato.. il mio augurio è che riusciate a recuperare il Casone perché ha un enorme valore storico e per quello che riusciamo, io e Tonino cercheremo di aiutarvi. Se ne parla troppo poco di questa storia, dovete andare nelle scuole a raccontarla, bisognerebbe riuscire a fare qualcosa di più di quello che si è fatto fino ad oggi, ora tocca a voi".

Christian Flammia e Andrea Ghirardo

giovedì 29 gennaio 2015

Marangon: ''Strappati a Bordighera i manifesti del nostro spettacolo in memoria della vittime della Shoah''
Marangon: ''Strappati a Bordighera i manifesti
                    del nostro spettacolo in memoria della vittime della
                    Shoah''

Strappati a Bordighera i manifesti di "Io c'ero", in memoria delle vittime della Shoah.
A denunciare il fatto è il regista dello spettacolo, Diego Marangon: "I manifesti che pubblicizzavano "Io c'ero" sono stati fatti a pezzi. Inoltre durante le prove, quando ci trovavamo nei camerini del Palazzo del Parco, è transitata un'auto con giovani all'interno che inneggiavano al Duce". L'increscioso episodio ha avuto luogo lo sabato scorso, 24 gennaio, giorno in cui è andata in scena la prima di "Io c'ero". 
Domani, sempre al PalaParco, la replica dello spettacolo verrà proposta agli studenti: "Credo che sia utile, anzi necessario, far conoscere ai giovani quello che è stato compiuto dai nazisti all'interno dei campi di concentramento", ha concluso Marangon.

Alice Spagnolo
26 Gennaio 2015

Gentile Redazione, trovandomi fuori sede ho appreso con rammarico, leggendo bordighera.net, delle provocazioni di ignoti a danno di 'Io c' ero', lo spettacolo rappresentato al Palazzo del Parco per la Giornata della Memoria dal Liber Theatrum cui, pubblicamente, va la solidarietà l' apprezzamento e la gratitudine di tutti i soci dell'  ANPI e mio personale.  La ragione ci spinge a rifiutare il pensiero che qualcuno possa, a 70 anni dalla Liberazione, solidarizzare col nazifascismo e i suoi orrori, come la Shoah, che hanno cambiato per sempre il modo di considerare l' umanità e la storia. Questo increscioso episodio, che fortemente respingiamo, deve però indurre i cittadini, le famiglie e soprattutto le Istituzioni pubbliche, Scuola Stato Municipalità, a vigilare e a svolgere, col massimo impegno, quella funzione didattica implicita nella loro attività, per rendere consapevoli i giovani della disumanità della dittatura e della necessità di salvaguardare nell' interesse di tutti i valori della democrazia.  A questo, nei limiti delle sue possibilità, è indirizzata l' attività dell' ANPI. Ringrazio e porgo cordiali saluti. Giorgio Loreti, presidente dell' ANPI di Bordighera.  


sabato 24 gennaio 2015

La riforma elettorale e quella del senato sono espressione e volontà di una post-democrazia. La politica – già relegata in posizione subordinata rispetto a tutto – ha lasciato spazio a quella aziendale con pessimi risultati sotto gli occhi di tutti. Ma l’Italia non è un’azienda...
Aderiamo con entusiasmo all'appello dell'ANPI . 
Come dice il Presidente ANPI Smuraglia "Noi siamo per la memoria attiva ma siamo anche la coscienza critica del Paese e i più forti difensori della Costituzione, della
democrazia, della buona politica." 

giovedì 22 gennaio 2015

27 gennaio
Nel giorno della memoria vogliamo ricordare Maria Musso Gorlero (1924-2011)


Maria nel 1944 aveva vent’anni e portava un nastro rosso tra i capelli ricci neri. Accusata di connivenza con i partigiani, è stata riconosciuta proprio per quel nastro, troppo rosso, troppo socialista. Il 2 settembre 1944 durante la festa del suo paese, Diano Arentino, viene imprigionata e deportata nel campo di sterminio di Mauthausen, da qui verrà trasferita prima al campo di Ravensbrük (numero di matricola 77377) e poi nel campo di Salzgitter. Ritornerà nel settembre 1945, dopo aver visto e subito inenarrabili orrori.
Per anni Maria, così come è successo a tanti altri deportati, non si è sentita di comunicare la sua esperienza, è riuscita a parlarne solo anni dopo attraverso i versi raccolti nel testo “Il mio granello di sabbia, per non dimenticare” da cui abbiamo tratto i seguenti:



2 SETTEMBRE 1944

Era un giorno di festa
ma nessuno cantava.
La messa
si celebrava fra poco.
La chiesetta (Sant'Antonino)
sul colle
era pronta.

Improvvisi dei passi
terribili e forti
forieri di terrore e paura.
Erano loro
erano venti
tedeschi con mitra spianati.
erano per me ignara,
quei mitra
quei passi paurosi.

I nascondigli
non poterono niente
ho pagato
senza nulla sapere
Ho pianto,
sofferto, pregato.

Son tornata
ferita, umiliata
Son tornata
spezzata di dentro
con paure
terrori, ricordi
coi vent’anni
che non ho
mai avuto





ANCORA RICORDI …
ALTRI RICORDI

Sono stanca
affaticata
forse malata.
Il pensiero
di chi non è tornato
mi strugge
non mi dà pace.
Li abbiamo lasciati nei campi …
non campi dorati
di grano
non campi

lussureggianti di verde ma campi di filo spinato

martedì 20 gennaio 2015

Nel Luglio del 1979 sono stati insigniti della Medaglia d’Oro alla Memoria 6 partigiani della Provincia di Imperia:

Felice Cascione (U Megu) di anni 25 - Venne ferito in uno scontro contro le forze nazifasciste, e rimase comunque sul posto per dirigere i suoi uomini. Per salvare un compagno si espose ai nemici e venne colpito mortalmente.

Val Pennavaira 27 gennaio 1944.

Sergio Sabatini di anni 19 - studente

 rinunciò alla licenza per partecipare con i propri compagni ad una azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Fu ferito due volte durante lo scontro e costretto dietro ordini del Comando a ritirarsi per l’esaurimento delle munizioni. Si offrì allora volontario per portare gli ordini ad un reparto impegnato su di un altro fronte e morì attraversando una zona scoperta.

Marco Dino Rossi (Fuoco) di anni 22 - studente
Nel corso degli scontri tra i partigiani e le linee nazifasciste fu catturato e sottoposto a torture e sevizie, malgrado la promessa di avere salva la vita, nulla rivelava che potesse tradire i suo compagni. venne infine condannato a morte.

Pigna (Imperia), 2 settembre 1944.
Imperia, 10 settembre 1944

Silvio Bonfante (Cion) di anni 23 - marittimo  

Fu ferito durante un cruento combattimento e raccolto in un ospedale da campo che venne circondato da S.S. i tedeschi preclusero ogni via di scampo e Bonfante, per non far trucidare i porta feriti e non cadere vivo nelle mani del nemico, si uccise.
Upega, 17 ottobre 1944

Roberto Di Ferro (Balletta) di anni 14 - apprendista meccanico. 

All'età di 14 anni fu uno dei ragazzi più tenaci che parteciparono alla lotta per la liberazione. Venne catturato, torturato e infine condannato a morte ma fiero della sua missione rispose : - Uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno – 
Pieve di Teco, 28 marzo 1945.

Franco Ghiglia (Gigante) di anni 19 - operaio

Fu volontario in una pericolosa e difficile missione contro le forze nemiche venne catturato, perché rimasto senza munizioni. Venne sottoposto alle più crudeli torture e sevizie e in segno di disprezzo sputò in faccia al suo inquisitore. Fu infine condannato a morte per impiccagione ma prima di morire ci lasciò un unico breve messaggio:"Viva l'Italia!"
Pontedassio, 5 aprile 1945

Fischia il vento è una celebre canzone popolare, il cui testo fu scritto nel settembre 1943, ovvero nei primi giorni della Resistenza, dal giovane medico ligure Felice Cascione (2 maggio 1918 - 27 gennaio 1944) per incitare il movimento partigiano.
Della banda di Cascione fece parte Giacomo Sibilla, nome di battaglia Ivan, reduce dalla campagna di Russia, ove era incorporato nel 2º Reggimento Genio Pontieri. Nella regione del Don, "Ivan" fece conoscenza con prigionieri e ragazze russe; da loro imparò la canzone Katjuša del musicista Blanter; "Ivan" la scolpì nella mente e la portò con sé in Italia, al Passu du Beu ne abbozzò alcuni versi con la chitarra insieme con Vittorio Rubicone "Vittorio il Biondo"; a questo punto intervenne Cascione che con "Vassilli", Silvano Alterisio, allora studente (tuttora vivente) e altri componenti della banda ne composero i versi.
La canzone fu intonata per la prima volta a Curenna, frazione di Vendone, nel Natale 1943 e cantata in forma ufficiale ad Alto nella piazza di fronte alla chiesa (il giorno dell'Epifania del 1944). In seguito divenne l'inno ufficiale delle Brigate Garibaldi.



Fischia il vento e infuria la bufera
scarpe rotte e pur bisogna andar
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il Sol dell'avvenir

Ogni contrada è patria del ribelle
ogni donna a lui dona un sospir
nella notte lo guidano le stelle
forte il cuor e il braccio nel colpir

Se ci coglie la crudele morte
dura vendetta sarà del partigian
ormai sicura è la dura sorte
del fascista vile e traditor

Cessa il vento e calma è la bufera
torna a casa il fiero partigian
sventolando la rossa sua bandiera
vittoriosi, e alfin liberi siam!

Fischia il vento e infuria la bufera
scarpe rotte e pur bisogna andar
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il Sol dell'avvenir

venerdì 16 gennaio 2015

L’ Associazione “Eppur bisogna andar”, costituita in data 26 Settembre 2013, si propone di contribuire, in sintonia con le altre associazioni presenti sul territorio, alla diffusione dei valori di uguaglianza e giustizia sociale, nati dalla Guerra di Liberazione e codificati all’interno della nostra Costituzione, che da essa è scaturita.
Le firme in calce all’Atto costituivo, allo Statuto e quelle dei nuovi soci, appartengono sia a chi ha partecipato direttamente ai fatti della Resistenza, o a parenti di partigiani, ormai scomparsi, che continuano a rivivere in questo progetto, sia a giovani che intorno agli anziani Partigiani si sono riuniti, con il desiderio di rendere sempre attuale il messaggio posto alla base del movimento di Liberazione Nazionale.




Gli associati si propongono anche di recuperare e valorizzare i luoghi che hanno visto i Partigiani della “I zona Operativa Liguria”, con particolare riferimento ai sentieri, ai manufatti ed alle zone che hanno segnato la storia ed il sacrificio di quegli uomini.
Grazie alla generosità, dettata dalla consapevolezza della memoria storica delle proprietarie, è stato donato all’associazione il casone di “Passu du Beu”, nel quale l’indimenticato Comandante Felice Cascione, “U MEGU”, ha condotto i suoi uomini sul finire del lontano 1943, lungo il difficile cammino che ancora oggi offre pace e dignità.
Questo luogo custodisce una preziosa memoria della nostra storia locale: è il riparo che vide la nascita dei versi dell’inno partigiano “Fischia il Vento”, composto dallo stesso Cascione con l’aiuto dei suoi garibaldini.





Il casone risale presumibilmente alla seconda metà dell’Ottocento e serviva nel Novecento da deposito del fieno e come rifugio in autunno e in inverno delle poche mucche dei proprietari. Una di questi, la signora Rosangela, ricorda di quando, nel primo dopoguerra, da bambina ancora prima di recarsi a scuola, andava con un bidone da 18 litri attaccato alle spalle da Duranti al “teccio”, così come viene chiamato il casone nella zona, a mungere le mucche per poi tornare col latte a Duranti da dove il lattaio di Stellanello lo recapitava ad Oneglia.
“Eppur bisogna andar” vuole operare affinché questo casone diventi un luogo aperto e vivo, simbolo della memoria e occasione di conoscenza della civiltà contadina, come riconoscimento del fondamentale aiuto che i contadini hanno dato ai partigiani. Essenziale sarà il rapporto con le scuole per “collegare l’antico al nuovo per far dialogare i due mondi, traghettando la memoria del passato” (da Spaesati di A. Tarpino ed Einaudi).



Inoltre, il cantiere del ripristino del casone e del sentiero potrebbe riunire trasversalmente giovani, pensionati, liberi professionisti, così come è già iniziato ad avverarsi, in nome dei valori civili e della cittadinanza attiva, generando un meccanismo di arricchimento culturale e sociale.